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L'ANIMA DI FRONTIERA DAL CUORE TRICOLORE


Un interessante articolo sull'"anima" di Trieste secondo lo storico e saggista Franco Cardini, pubblicato su "Il Sole 24 Ore" del 3 aprile 2011.

L'ANIMA DI FRONTIERA DAL CUORE TRICOLORE
di Franco Cardini

Frontiera inquieta, identità lacerate e composite. Trieste italianissima. Lo si è ripetuto con orgoglio, quasi con rabbia. Difendere l'italianità: ma come conciliare l'unicità della vocazione tricolore con le istanze centrifughe di duemila anni di storia? E come riuscire a mettere d'accordo, nella città delle italianissime campane di San Giusto i cui eroi si chiamano Slataper, Michelstaedter, Stuparich, Schmitz, Pressburger e Joyce, gli accenti "italianissimi" con il monumento all'imperatrice Elisabetta d'Asburgo, Sissi, che i triestini amano?

Dopo un glorioso periodo di libertas comunale, per sottrarsi al predominio della Repubblica di San Marco i triestini erano stati costretti a sottomettersi nel 1382 a Leopoldo III d'Asburgo, duca d'Austria: e pare lo facessero di buon grado.

Fu una carta vincente. Di lì a pochi decenni la dinastia ducale austriaca s'insediava alla guida del Sacro Romano Impero, riuscendone a trasformare la corona da elettiva a di fatto ereditaria: i secoli tra il XV e il XVIII furono secoli di prosperità, nei quali Trieste si presentò come l'unico porto mediterraneo della compagine imperiale. Quando nel 1806 l'impero romano-germanico fu costretto da Napoleone a ridefinirsi, più modestamente, come impero federale austriaco mantenendo però la sua dinastia, Trieste ne seguì le sorti. Venezia, a sua volta soggetta agli Asburgo fin dal 1797, non era più in grado di farle concorrenza. Dopo il 1815, era come Gorizia parte dell'impero austriaco: mentre il confine con il regno Lombardo-Veneto (esso stesso asburgico) correva poco più ad ovest, lambendo Palmanova.

Nell'Ottocento, la città era ricca, viva, attiva. Era il tempo dei grandi Lloyd, ma il vento patriottico che veniva da Ovest cominciava a farsi sentire, con le istanze liberali del suo ceto armatoriale. Il giovane imperatore Francesco Giuseppe decise di dare a quei sudditi ricchi e operosi ma inquieti un segno di moderazione e tolleranza, spedendo nel 1857 a governare il Lombardo-Veneto - al posto del vecchio, intelligente ma rigido maresciallo Radetzky - l'intraprendente e moderno arciduca Massimiliano, ammiraglio e innamorato di Trieste che elesse a sua dimora.

Dopo la fine della guerra franco-austriaca del 1859, il Lombardo-Veneto risultava mutilato di tutta la Lombardia tranne Mantova. Tanto valeva concentrarsi su Trieste, baricentro su cui convergevano i traffici dall'Italia nordorientale, dalla Germania, dall'Austria e dall'Ungheria. Un grande futuro europeo aspettava quel porto ventoso.

L'intraprendenza di Massimiliano era solo apparenza. Fratello minore di Francesco Giuseppe, era nato nel 1832 e la sua passione era il mare. Romantico e avventuroso, era stato giovanissimo pellegrino in Terrasanta riportandone un diario struggente.
Miramare è il ritratto di Massimiliano: solo che, invece di quello a olio realizzato dal pennello di Georg Decker, questo è un ritratto in candido calcare del Carso, la pietra aurisina estratta da una cava già romana. Come il suo castellano, Miramare inganna. Lo hanno definito benevolmente di stile eclettico, e brutalmente kitsch. Ma il kitsch esprime l'ansia di abbracciare troppi e troppo vasti orizzonti spaziali e temporali. Se lo visitate in una mattinata di fine inverno, vi sembrerà un castello di fiaba. Fatevi coraggio e percorrete il sentiero della Salvia, tra Santa Croce e Aurisina, in una giornata bigia e magari (moderatamente) ventosa. Lì, Miramare vi apparirà circonfuso da un nimbo livido e vi obbligherà a ripensare ai tetri versi di Giosuè Carducci: «O Miramare, a le tue bianche torri - attediate per lo ciel piovorno - fosche con volo di sinistri augelli - vengon le nubi».

Non v'era nulla di così pauroso, sul promontorio di Grignano, quando Massimiliano cominciò a costruirvi la sua dimora. Quanto allo stile, il suo ingegnere, l'austriaco Carl Junker, aveva scelto un neogotico lineare, più adatto al Baltico o alle dimore degli zar sul Mar Nero che non a quell'Adriatico settentrionale che a noi può già apparire quasi nordico, ma che per un austrotedesco era un'apoteosi mediterranea. Kennst du das land, wo die Zitronen blühen (conosci il paese dove fioriscono i limoni)?

Aveva cominciato a cullare l'idea di una dimora sospesa tra fiori e mare nel '55, quando a Trieste sovrintendeva alla marina imperiale; nel marzo dell'anno successivo la costruzione era già avviata. La nomina a governatore del Lombardo-Veneto lo distolse dal sogno. Ma due anni dopo l'imperatore Napoleone III e il re di Sardegna Vittorio Emanuele II gli resero un servizio, battendo gli austriaci e inducendo Francesco Giuseppe a rilevar il fratello da una carica che non troppo gli si confaceva e che l'obbligava a risiedere nella brumosa Milano.

A Miramare, dunque: di nuovo e, sperava, per sempre. Vi fece ingresso nella notte di Natale del '60, con la moglie Carlotta del Belgio. S'installarono al primo piano, già perfettamente completato e arredato da Franz e Julius Hoffmann con luminose tappezzerie azzurre. Il resto dell'edificio, gli interni, il piano superiore di rappresentanza tappezzato di rosso e arricchito dai simboli imperiali, erano da completare. Proprio quello che voleva lui: quello sarebbe stato il suo capolavoro.

Soprattutto il vasto parco, dove Massimiliano aveva fatto sistemare piante africane e americane per studiarle. Un angolo di tropici a sfidar la bora, una stazione climatica modello. Un luogo dove l'arciduca avrebbe voluto vivere come un vecchio marinaio a riposo: tra i libri di viaggio custoditi nella biblioteca di 7mila volumi, le mappe, le essenze venute dalle foreste più remote del mondo, i sogni d'incantesimi e maree, di dèmoni e meraviglie.

Fin dalla primavera del '56, giardino e parco erano affidati alle cure di Josef Laube, che fu più tardi sostituito da Anton Jelinek il quale aveva preso parte alla spedizione della fregata Novara intorno al mondo. Il quadrato di poppa della nave fu ricostruito a Miramare e divenne lo studio di Massimiliano. Ma in quel paradiso ch'era reggia, serra, cantiere e laboratorio, Carlotta non era felice. Figlia di re, consorte d'arciduca, era cognata della più bella imperatrice del mondo, Sissi, e ne invidiava il diadema. Su di lei seppe far leva Napoleone III con un'altra imperatrice, la moglie Eugenia, che lavorava a un'intesa tra i sovrani cattolici d'Europa per fermare l'orrida prospettiva di rivoluzioni democratiche e quella, ancor peggiore, di un'egemonia britannica e prussiana - cioè protestante - sul continente.

Napoleone, che non digeriva la pretesa degli Stati Uniti a tenerne lontane le pretese coloniali europee, approfittò della guerra di Secessione per mettere a punto una combine che prevedeva la restaurazione in Messico d'un impero sul cui trono doveva sedere un discendente di Carlo V, il sovrano sulle terre del quali non tramontava il sole. Il clero messicano e i latifondisti d'origine spagnola del Paese intendevano garantire un sicuro ordine conservatore.

Carlotta sarebbe stata imperatrice, come le altre teste coronate d'Europa, Elisabetta d'Austria, Eugenia di Francia, Vittoria d'Inghilterra. Sarebbe stato Napoleone III ad assicurare la copertura economica e la forza militare: ma Francesco Giuseppe, comprendendo che il prezzo di ciò era un'egemonia francese sul nuovo impero latinoamericano, era lontano dall'essere entusiasta dell'impresa. Forse, Massimiliano contava su di lui per ricevere un veto da opporre alle bizze di Carlotta.
Il veto non venne. Arrivò nel '63 a Miramare la delegazione del governo messicano, a offrire all'arciduca la corona e lui partì con Carlotta il 14 aprile '64.

Non sarebbe più tornato. In Messico, mise in atto un programma di riforme, che non gli conciliò le simpatìe dei democratici patriottici locali, mentre gli alienarono quelle dei conservatori che lo avevano invitato al trono. Catturato dai repubblicani di Benito Juarez, fu fucilato a Queretaro il 27 giugno 1867. L'imperatore inviò in Messico l'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, il trionfatore di Lissa, per riportare la salma in patria. Così, le mura di Miramare assisterono al lento sprofondare di Carlotta nella follia.

Giosuè Carducci non amava gli Asburgo, ma la tragedia di Massimiliano lo commosse. E Miramare, con i suoi toni macabri è la più "gotica" delle Odi barbare.

I triestini amano Miramare. Fanno jogging, portano i bambini di domenica. Ma basta che il cielo si oscuri e torna la magia oscura di quel castello che ha assistito alla malasorte di un principe e di una giovane imperatrice per pochi mesi. Miramare fa paura e, anche se nessuno lo dice, gode di fama sinistra. La sua immagine gaia e tragica riassume questa terra fatta d'allegria e tragedie, dove si ama il vino e si vive nei caffè, ma a due passi dalla cupa mole della risiera di San Sabba e dalle bocche spalancate delle foibe. Trieste, dove per indicar qualcuno si dice "quel mato", quel matto, e dove l'istituzione più consueta dell'intellighenzia locale sembra essere il suicidio. Vento, mare, ricordi, paura, follia, gioia di vivere.
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