PROFUGHI, ITALIA IN PRIMA LINEA. PARLA LA POLIZIA DI STATO.
PROFUGHI, ITALIA IN PRIMA LINEA. PARLA LA POLIZIA DI STATO.
Alessandro Pansa, capo della Polizia, illustra il duro lavoro delle Forze dell'Ordine per gestire i flussi migratori verso l'Italia.
10 agosto 2015
Migrazioni intense, ma variabili con rapidità.
Meno siriani, ma più migranti dall'Africa orientale.
La crisi libica e l'instabilità le cause principali.
La via del Balcani, le organizzazioni criminali e terroristiche.
I principali "hub" della migrazione: Libia, Egitto, Turchia.
I viaggi in aereo, o con mezzi di fortuna. O a piedi. I prezzi.
Le espulsioni e rimpatri. Gli arresti e le condanne di scafisti e fiancheggiatori.
I Centri di Identificazione ed Espulsione che non ci sono, la cooperazione fra Stati, le indagini.
Questi i punti evidenziati dal capo della Polizia italiana, Alessandro Pansa, nella sua relazione sui fenomeni migratori illustrata alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, il 4 giugno scorso.
Ne emerge un quadro di straordinaria complessità e di rapida mutevolezza, che mette a dura prova le capacità operative delle Forze dell'Ordine. Ma, allo stesso tempo, si ricava la consapevolezza che lo Stato c'è ed è attivo, con la professionalità e l'efficienza dei suoi uomini migliori.
Di seguito, la relazione integrale di Alessandro Pansa.
---------------------------
In primo luogo, desidero premettere che, in questo momento, i flussi migratori sono molto intensi, ma anche molto variabili. Essi sono condizionati da fattori esterni che, con grandissima facilità, ne mutano l’assetto, le rotte, la consistenza e la tipologia. Nello stesso tempo, la mutevolezza coincide con la rapidità.
Un qualsiasi fenomeno, ad esempio anche un’azione più forte di Boko Haram in Nigeria verso il Niger, mette in movimento centinaia di migliaia di persone che non si muoverebbero se non ci fosse quell’attentato o quell’azione di pressione. Se si mettono in movimento, lo fanno nel giro di pochi giorni o settimane. In alcuni momenti, quindi, ci troviamo di fronte ad una mutazione dello scenario nell’arco di un periodo di tempo molto limitato.
Se esaminiamo il fenomeno dell’immigrazione (ma basta considerare gli sbarchi), nel 2014 i numeri più consistenti di arrivi in Italia, soprattutto dalla Libia, erano di siriani. Adesso invece si tratta di eritrei, somali, nigeriani e maliani.
Ci sono state delle situazioni e delle condizioni che hanno determinato questa modifica. Lo stesso calo, in questi mesi, del numero di richiedenti asilo da parte di coloro che sbarcano in Italia è un ulteriore sintomo delle continue evoluzioni in atto.
È evidente che la situazione di crisi e di instabilità politica presente in Libia, ma anche nell’area subsahariana e in Medio Oriente (in Siria, in particolar modo), influenza in maniera massiccia questa situazione. Oggi la Libia è il principale, il più importante, il più grande hub per lo sviluppo dei flussi migratori, soprattutto dall’area subsahariana e dal Corno d’Africa.
Non manca un flusso abbastanza consistente dall’area balcanica, dalla Turchia e dall’Egitto. Il numero degli immigrati o dei migranti, che hanno raggiunto l’Italia nei primi cinque mesi dell’anno, è di poco superiore ai 41.000 rispetto ai 39.900 dello stesso periodo dello scorso anno. Nel 2014 il numero ha superato le 170.000 unità.
Ad ogni modo, è la situazione libica a determinare il flusso principale, a causa della mancanza assoluta di controllo del territorio e alla presenza sul territorio di organizzazioni criminali, di bande armate e di gruppi armati che sfruttano la loro posizione di controllori del territorio per gestire il traffico degli immigrati.
Se si pensa che in Libia ci sono due Governi e che le organizzazioni militari dei due Governi sono le meno forti rispetto alle varie milizie e tribù che operano in quei territori, si comprende che lo scenario è completamente cambiato, come pure il coinvolgimento del terrorismo.
L’anno scorso e nei primi mesi di quest’anno non era affatto preso in considerazione, mentre negli ultimi tempi si hanno elementi di sospetto per sostenere che anche organizzazioni terroristiche operanti in Libia possano essere coinvolte nel traffico dei migranti, sfruttando quindi le risorse economiche che arrivano dal traffico dei migranti in maniera che non conosciamo.
Infatti, è evidente che i flussi finanziari che avvengono in quelle aree non sono da noi individuabili. Il tema dei flussi è abbastanza complesso perché gli itinerari sono vari a seconda della provenienza dei flussi stessi.
Ci sono quelli che provengono da Sud-Ovest, cioè la rotta del Sahel, che costituisce probabilmente la gran parte del flusso, tenendo presente che dal Sahel arriva un numero enorme di migranti che si ferma in Libia. L’80 per cento dei migranti si ferma infatti in Libia, perché in quel Paese si sta creando un flusso di sostituzione. In Libia c’è un’altissima presenza di pakistani che stanno perdendo lavoro e sicurezza e che, di conseguenza, si stanno muovendo dalla Libia verso l’Europa.
La loro posizione viene così presa e rimpiazzata da molti dei migranti provenienti dal Sahel, che accettano condizioni più gravose e più pericolose di quelle che accettano i pakistani. Vi è quindi una mutazione anche della popolazione endogena che vive nella Libia stessa. Da Sud-Est moltissimi provengono soprattutto dal Corno d’Africa. Si tratta chiaramente di somali ed eritrei, che quasi sempre raggiungono tutti quanti l’Oasi di Kufra, per essere poi smistati, attraverso diversi canali, verso il Nord del Paese e quindi sulla costa.
Da Est la rotta che arriva in Libia è un’altra, dall’Egitto. Infatti è usuale – sicuramente riscontreremo ciò tra un mese e mezzo – che, dopo il Ramadan, moltissimi di coloro che si recano a La Mecca per il rituale viaggio decidono poi di non tornare nel Paese di origine, ma di migrare verso l’Europa, verso l’Occidente. Da La Mecca raggiungono così il Sinai, attraversano l’Egitto, poi la Libia e infine vengono verso l’Italia.
Pertanto in questo flusso migratorio l’Egitto riveste un importante ruolo ed è probabilmente, insieme alla Turchia, il secondo hub di migranti che raggiungono l’Italia. Il territorio egiziano è da un lato transito verso la Libia, dall’altro base di partenza per due rotte: vi è la cosiddetta rotta anatolico- balcanica, che va verso la Grecia e poi verso il Nord Europa, oppure quella che va direttamente verso l’Italia, soprattutto sulle coste calabresi e pugliesi.
L’Egitto è raggiunto facilmente anche dai siriani, che attraversano la penisola del Sinai oppure arrivano direttamente ad Alessandria d’Egitto con voli da Istanbul o da Beirut; da lì poi si imbarcano direttamente o proseguono verso la Libia. In Egitto la criminalità è molto strutturata e molto ben organizzata. I viaggi che si fanno dall’Egitto sono quasi sempre più sicuri rispetto a quelli che partono dalla Libia, perché i trafficanti sono molto più professionalizzati e il sistema di trasporto via mare è quasi sempre assicurato da pescatori, cioè da professionisti del mare che, bene o male, utilizzano mezzi certamente non sicuri ma senz’altro più affidabili di quelli utilizzati in Libia.
Noi abbiamo una forte cooperazione con le autorità egiziane, che negli ultimi tempi si stanno impegnando molto nella lotta al traffico. Si pensi che hanno bloccato le partenze durante la notte dal delta del Nilo, che era la principale stazione di partenza notturna delle imbarcazioni con i migranti.
Le autorità egiziane, con un intervento di tipo militare, non consentono più a nessuno di partire durante la notte. Durante il giorno questo tipo di intervento è molto difficile, perché i pescatori devono comunque recarsi a pescare e, quindi, vi è un’attività commerciale e lavorativa che è più difficile bloccare. Rispetto ai primi mesi dell’anno comunque, proprio in queste ultime settimane, il flusso migratorio dall’Egitto sta aumentando rispetto a prima.
L’altro grande hub di trasferimento verso l’occidente è la Turchia. In Turchia arrivano persone dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Iran, dall’Iraq e dalla Siria, con varie modalità: nascosti nei camion, nei doppi fondi dei pullman e dei treni e addirittura a piedi (soprattutto per i più vicini, quelli che vengono dalla Siria e dall’Iraq).
La migrazione siriana predilige soprattutto l’Italia, con l’ingresso nel nostro Paese attraverso la Libia. Alcuni si fanno carico del trasferimento lungo il Sinai e l’Egitto, per poi arrivare in Libia fino a Tripoli, altri invece utilizzano il volo aereo da Istanbul, in Turchia, o da Beirut, in Libano, direttamente per Algeri, in Algeria, dove non ci sono limitazioni ai voli che provengono dalla Turchia o dal Libano (o non vi sono particolari controlli), e poi di lì, a piedi o con mezzi di fortuna (a volte addirittura in taxi), raggiungono la Libia, da dove si imbarcano per le coste italiane.
Il costo di questi viaggi è abbastanza vario, nel senso che esso è proporzionato anche alle capacità economiche di chi affronta il viaggio. I siriani sono quelli che pagano di più. Il viaggio dalla Turchia è quello che costa di più, ma è anche quello che dura di meno. Il viaggio invece dall’Africa subsahariana, ma soprattutto dal Corno d’Africa, è quello che costa meno di tutti, ma che dura di più. Si passa dagli 800-900 ai 1.500- 2.000 dollari. Il viaggio verso le coste italiane dalla Siria, invece, può costare anche 7.000-8.000 dollari.
Chiaramente migliorano pure le condizioni di viaggio, perché purtroppo anche in questa migrazione illegale, in questo traffico illegale, esistono la prima e la seconda classe e trattamenti che, a seconda di quanto si paga, sono migliori. Sono le stesse organizzazioni ad essere specializzate nella tipologia di trasporto. È difficile che un trafficante specializzato nel trasporto di eritrei trasporti anche altre tipologie di migranti. È soltanto l’ultimo tratto, quello via mare, che può cambiare.
Molte indagini infatti confermano che molte di queste organizzazioni di trafficanti non soltanto hanno punti di contatto nei Paesi di origine, per gestire il flusso dall’inizio fino alla fine, ma anche nei Paesi di destinazione: in parte in Italia e in parte negli altri Paesi europei che, di solito, rappresentano la destinazione finale. Per quanto riguarda gli altri Paesi, come la Tunisia, i flussi sono molto diminuiti dopo la grande partenza avvenuta nel periodo della cosiddetta primavera araba.
Negli ultimi tempi, il flusso dalla Tunisia si è ridotto a poche decine di unità ed è veramente irrisorio, sia perché non c’è una spinta forte dalla Tunisia, sia perché i controlli sono più efficaci, ma anche perché chi vuole partire dalla Tunisia non ci mette molto ad arrivare in Libia e partire da li con grande facilità. Come dicevo, un flusso importante è quello che proviene dalla Siria. Diverse sono le rotte: dall’Eritrea, dove il viaggio per raggiungere la Libia di solito dura anche quattro mesi, o dalla Somalia, con le stesse caratteristiche. Un traffico molto intenso avviene anche attraverso il Sudan, dove è gestito da elementi di tribù locali che sono in stretto collegamento soprattutto con organizzazioni di eritrei, i quali in questo periodo sembrano essere i più attivi nelle organizzazioni del traffico dei migranti.
Negli ultimi tempi si sta avendo una crescita del traffico di migranti anche da altri Paesi che precedentemente erano meno coinvolti. Stanno aumentando molto i maliani ed i nigeriani, entrambi già presenti precedentemente, mentre sono aumentati molto i flussi da Senegal, Costa d’Avorio, Gambia e Sierra Leone, che si stanno ampliando sempre di più dirigendosi verso il Nord Africa e, in particolar modo, verso la costa libica.
Allo stato, abbiamo un numero notevole di soggetti già arrivati nel 2015, pari a 41.703 unità. In questo momento utilizziamo i dati dell’ACNUR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), in quanto più ampi dei nostri: infatti, per quanto riguarda i decessi, noi registriamo soltanto quelli di cui abbiamo cognizione diretta; ci sono invece decessi di cui non veniamo informati e dei quali nessuno sa niente (ad esempio, al momento dell’imbarco o nelle primissime miglia del viaggio c’è gente che muore e noi non siamo in condizioni di saperlo).
Nei primi cinque mesi del 2015 l’ACNUR conta 1.654 dispersi o annegati, mentre nel 2014 erano 3.538. Il numero di tutti i soggetti che sono arrivati, per quanto riguarda il 2014, è di oltre 170.000 ed i richiedenti asilo erano 63.456; nei primi cinque mesi dell’anno, su 41.703 persone in arrivo, 24.678 sono richiedenti asilo.
È evidente che non tutti questi richiedenti asilo ne hanno veramente diritto; anzi, la maggior parte di coloro che lo chiedono in Italia non riguarda quelli che certamente avrebbero diritto all’asilo, come i siriani e gli eritrei. Questi ultimi non chiedono asilo in Italia perché, in base al trattato di Dublino, non potrebbero poi chiederlo nei Paesi di destinazione dove hanno deciso di andare a vivere. Quindi, non c’é alcuna intenzione da parte loro di chiedere asilo in Italia.
La maggior parte di quelli che chiedono asilo in Italia sono persone che non ne hanno diritto. Una volta però che essi lo hanno richiesto è facile per loro, a causa delle condizioni economiche del loro Paese, ottenere il trattamento umanitario e altre posizioni di tutela. Comunque, avendo presentato la domanda di asilo, sono in una condizione di inespellibilità, quantomeno per tutto il periodo della procedura di asilo o del gravame conseguente al rigetto della richiesta di asilo.
Per quanto riguarda l’azione di contrasto, in primo luogo vi sono le attività di tipo amministrativo, come i rimpatri. Nel 2014, di 170.000, ne abbiamo individuati, ai fini del rimpatrio, 30.906; essi sono stati tutti espulsi, ma quelli effettivamente rimpatriati sono stati 15.726, cioè il 52 per cento. Quest’anno, su 41.000, ne abbiamo espulsi 12.154, ma di questi gli effettivamente rimpatriati, cioè quelli ritornati al Paese d’origine, sono pari a 5.815; gli altri sono stati quasi tutti espulsi, con diffida a lasciare il territorio nazionale, cui poi non hanno ottemperato.
Gli strumenti più efficaci da noi utilizzati per il rimpatrio effettivo sono i cosiddetti voli charter, cioè i rimpatri collettivi che effettuiamo direttamente dall’Italia, molto spesso insieme ad altri Paesi europei. È invalsa ormai da qualche anno l’abitudine, soprattutto per poter fare voli pieni per singoli Paesi e per singola nazionalità, che la Germania o la Spagna o la Francia o l’Italia stessa organizzino un volo e che su questo volo vengano fatti salire gli espulsi dall’Italia, dalla Germania, dalla Francia o da altri Paesi. In questi primi cinque mesi dell’anno abbiamo organizzato 38 voli charter, di cui sei congiunti con Germania, Spagna e Francia, e abbiamo rimpatriato più di 600 cittadini stranieri.
Contemporaneamente svolgiamo una forte attività investigativa per contrastare il traffico dei migranti e, già dall’anno scorso, abbiamo attivato una serie di gruppi investigativi specializzati, con personale specializzato del servizio centrale operativo e con le squadre mobili di Agrigento, Catania, Crotone e Lecce. Lavoriamo poi in grande collaborazione con le procure distrettuali di Palermo, Catania, Catanzaro e Lecce.
Abbiamo concentrato la nostra azione investigativa specialmente in Sicilia, perché tale azione si avvale molto anche dei dati che ci forniscono i migranti appena sbarcati, coloro che possono essere accolti direttamente a bordo delle navi e il materiale che portano, o gli scafisti che vengono immediatamente identificati ed arrestati. Per queste ragioni, l’azione investigativa in Sicilia e` piu` efficace. In questo periodo si sta rivelando molto utile la collaborazione sia con l’Egitto che con la Turchia: abbiamo squadre investigative e poliziotti italiani in Egitto e poliziotti egiziani in Italia (lo stesso stiamo per fare con i turchi), perche´ la collaborazione con questi Paesi e` molto importante.
La Turchia, in seguito a contatti ed accordi anche a livello politico, ha effettivamente bloccato il flusso delle cosiddette navi fantasma, ossia delle grosse navi che imbarcavano diverse centinaia di persone partendo direttamente dalle coste turche per arrivare in Italia. Negli ultimi tempi ne abbiamo segnalate undici e nessuna di esse è stata fatta partire dalle autorità turche. Questo fenomeno si è fermato, tant’è vero che anche dalle nostre indagini emerge che gli stessi siriani non trovano più la possibilità di imbarcarsi direttamente dalla Turchia verso l’Italia, ma devono fare ricorso ad altri sistemi per raggiungere le isole greche più piccole: avviarsi attraverso la rotta balcanica risalendo la Bulgaria e la Romania per raggiungere il centro Europa o attraversare la penisola balcanica ed entrare in Italia attraverso la Slovenia.
Particolarmente importanti – come dicevo – sono le indagini svolte in Sicilia insieme alla procura distrettuale di Palermo e di Catania. Avvalendoci di un gruppo di lavoro specializzato e di alcuni contributi operativi che ci forniscono unità navali della Marina militare, sono stati individuati degli strumenti giuridici per perseguire i fatti che accadono in acque internazionali; quindi, prima di entrare in territorio nazionale, è stato possibile utilizzare strumenti investigativi. La Corte di cassazione ha recepito questa interpretazione normativa, che riconosce la giurisdizione e la competenza italiana in operazioni nelle quali ancora non è stato interessato il territorio nazionale, e quindi ha confermato tutti gli arresti e i sequestri.
Da ultimo, il 13 maggio scorso vi è stata la condanna all’ergastolo di un tunisino responsabile di un naufragio in cui sono morte 17 persone nel maggio dello scorso anno. Questa sentenza ha costituito un importante precedente giurisprudenziale, perché, oltre a confermare la competenza delle autorità italiane, sostiene anche la forza e l’importanza della sanzione che nel nostro Paese può essere irrogata a costoro.
Le indagini si stanno sviluppando in maniera molto capillare anche sulle reti telematiche, perché le informazioni che attengono alla possibilità di fruire delle reti del traffico di migranti vengono gestite anche via Internet. In Rete vengono individuate, fornite e comunicate soprattutto le contromisure necessarie che, di volta in volta, i trafficanti mettono in atto man mano che i singoli Paesi, e l’Italia in particolar modo, adottano nuove metodologie per contrastare il fenomeno.
In conseguenza di tale lavoro, negli ultimi mesi abbiamo arrestato 116 trafficanti, dall’inizio dell’anno 221 scafisti e dall’inizio della costituzione di questi gruppi 1.112 scafisti. Quando parliamo di scafisti usiamo un termine giornalistico per indicare varie tipologie di soggetti: ci riferiamo sia a coloro che pilotano l’imbarcazione sia agli agevolatori che operano a terra.
L’aspetto che stiamo ulteriormente sviluppando per migliorare ancora di più l’azione di contrasto e controllo è la cooperazione internazionale. Siamo continuamente impegnati nelle relazioni internazionali con i Paesi di nostro interesse. Ad esempio, questa mattina abbiamo incontrato prima la delegazione tedesca e poi quella della Gambia proprio per sviluppare forme di collaborazione sia dei flussi che dall’Italia vanno in Europa sia dei flussi che dal Nord Africa vanno verso l’Italia.
Negli ultimi tempi stiamo stringendo un’ulteriore collaborazione con Paesi come la Tunisia, l’Egitto, il Sudan, il Mali, il Niger, la Turchia, la Gambia e la Costa d’Avorio, perché è molto importante poter contare sulla loro collaborazione per quanto riguarda i flussi, ma soprattutto per il rimpatrio, perché la nostra principale difficoltà è mandare a casa coloro che non hanno diritto a restare nel nostro Paese, in quanto vi sono difficoltà oggettive causate dalla non collaborazione dei Paesi di origine e da un problema di identificazione della nazionalità e delle generalità.
In Italia non è molto apprezzato ed amato il trattenimento nei centri di identificazione ai fini dell’espulsione; abbiamo pochi posti e non riusciamo a costruire nuovi centri di identificazione, perché c’è una forte opposizione da parte delle popolazioni dei luoghi in cui questi centri dovrebbero essere realizzati. Pertanto è complesso per noi gestire i rimpatri senza avere uno strumento adeguato come quello dei cosiddetti CIE.
Da ultimo, erano state sviluppate politiche innovative che speriamo possano portare in tempi brevi a risultati positivi. Nel novembre scorso si è tenuta a Roma la riunione dei Ministri dell’interno e degli esteri dell’Unione europea nell’ambito delle riunioni del processo di Khartum e del processo di Rabat (due processi internazionali che riguardano rispettivamente il dialogo dell’Unione europea con il Corno d’Africa e il dialogo dell’Unione europea con i Paesi del Maghreb e dell’Africa occidentale).
A parte tutte le altre forme di collaborazione individuate per supportare e migliorare l’azione di collaborazione (la capacity building) e le capacità delle Forze di polizia di tali Paesi, l’Italia ha ottenuto, da parte del Niger e del Sudan, l’assenso per la costituzione nei loro territori di campi profughi e campi di accoglienza in cui bloccare i flussi migratori ed esercitare le azioni di controllo e di verifica per i richiedenti asilo e per i rifugiati.
L’Unione europea, che era destinataria di questa iniziativa, si è già mossa: sono state organizzate missioni in Niger e in Sudan da parte dell’Unione europea, a cui noi abbiamo partecipato con il dottor Pinto (qui presente), ma il processo di organizzazione e sviluppo di questi campi ancora non si è concretizzato, anche se sembra essere una delle poche chance che abbiamo per interrompere o quanto meno per gestire meglio i flussi migratori che vengono dai Paesi dell’Africa.
Ribadisco e concludo, sottolineando che siamo sempre impegnati nella cooperazione internazionale, soprattutto ai fini del rimpatrio. In questo momento utilizziamo 30 accordi di riammissione; di essi, 13 sono con i Paesi extraeuropei, e ne abbiamo altri due in trattazione. Inoltre usufruiamo, anche se in maniera parziale perché sono più difficili da applicare, di accordi di riammissione stipulati dall’Unione europea con 13 Paesi da cui provengono flussi migratori che in parte interessano l’Italia e in parte altri Paesi europei.
0 commenti:
Posta un commento
Il blog di Paolo Rovis.
Notizie, opinioni, politica.
A Trieste e nel Friuli Venezia Giulia.