Ambrogio Lorenzetti, Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Città (1338-1339). |
Da un formale impegno politico di inizio legislatura alle proposte della Commissione dei saggi "Per una democrazia migliore", recepite nella legge di Riforma.
18 ottobre 2016
L'avrete sentito dire più volte che questa sarebbe "la riforma di Renzi". E lo stesso presidente del Consiglio, fino a poco fa, soleva esprimersi in modo da avvalorare tale percezione.
Ma non è così.
Il fermo impegno a produrre davvero una riforma della Costituzione venne richiesto alle Camere riunite da Giorgio Napolitano, dopo un'eccezionale rielezione al Quirinale, nel noto discorso del 22 aprile 2013, lungamente applaudito da tutte le forze politiche.
I tentativi di aggiornare l'architettura istituzionale della Repubblica si sono susseguiti per oltre trent'anni. Puntualmente falliti a causa di egoismi, insipienza, convenienze elettorali, timore di perdere rendite di posizione che sono stati la cifra dei partiti politici.
La Riforma divenne così il punto centrale e ineludibile da realizzare in questa legislatura. E il Parlamento, dopo ampia discussione, affidò formalmente al Governo Letta il compito di predisporne la bozza.
Nel giugno 2013 venne quindi costituita una Commissione di "saggi", presieduta dall'allora ministro per le Riforme, sen. Gaetano Quagliariello, con lo scopo di produrre un progetto di riassetto istituzionale quanto più possibile condiviso, da sottoporre alle Camere.
Il risultato è il testo allegato a questo post, che potete leggere e scaricare. Un documento non breve, ma che ha il pregio di descrivere compiutamente tutti i passaggi, le analisi, lo sforzo intellettuale e giuridico che hanno caratterizzato i lavori della Commissione, conclusi nel settembre del 2013.
Le conclusioni, all'unanimità, sono state queste.
Per superare la crisi politica, economica e sociale la Commissione unanime ritiene necessari interventi di riforma costituzionale, i cui punti principali sono stati così individuati:
1. Il rafforzamento del Parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo paritario, una più completa regolazione dei processi di produzione normativa e, in particolare, una più rigorosa disciplina della decretazione di urgenza.
2. Il rafforzamento delle prerogative del Governo in Parlamento attraverso la fiducia monocamerale, la semplificazione del processo decisionale e l’introduzione del voto a data fissa di disegni di legge.
3. La riforma del sistema costituzionale delle Regioni e delle Autonomie locali che riduca significativamente le sovrapposizioni delle competenze e si fondi su una maggiore cooperazione e una minore conflittualità.
4. La riforma del sistema di governo, che viene prospettata in tre diverse possibili opzioni: a) la razionalizzazione della forma di governo parlamentare; b) il semipresidenzialismo sul modello francese; c) una forma di governo che, cercando di farsi carico delle esigenze sottese alle prime due soluzioni, conduca al governo parlamentare del Primo Ministro.
Sono tutti elementi che ritroviamo presenti nella Riforma Costituzionale oggetto del referendum del 4 dicembre.
Togliamo perciò dal radar l'obiezione, tutta politica e strumentale, che la Riforma sia stata voluta da Renzi per rafforzare se stesso. L'attuale premier non ha fatto altro che ottemperare a quanto richiesto dal Parlamento prima ancora che egli salisse a palazzo Chigi. Ha concluso un iter già avviato e già delineato nei contenuti molto prima della sua nomina.
E, infine, quand'anche si ritenesse che questa modifica alla Costituzione dovesse rafforzare il ruolo del Governo oltre che quello del Parlamento - cosa che, peraltro, è sempre stata auspicata soprattutto dal centrodestra - è di tutta evidenza che l'applicazione non riguarderà l'attuale legislatura, ma la prossima.
La cui maggioranza parlamentare verrà decisa dagli elettori e che potrà, naturalmente, essere del tutto diversa da quella attuale.
Togliamo perciò dal radar l'obiezione, tutta politica e strumentale, che la Riforma sia stata voluta da Renzi per rafforzare se stesso. L'attuale premier non ha fatto altro che ottemperare a quanto richiesto dal Parlamento prima ancora che egli salisse a palazzo Chigi. Ha concluso un iter già avviato e già delineato nei contenuti molto prima della sua nomina.
E, infine, quand'anche si ritenesse che questa modifica alla Costituzione dovesse rafforzare il ruolo del Governo oltre che quello del Parlamento - cosa che, peraltro, è sempre stata auspicata soprattutto dal centrodestra - è di tutta evidenza che l'applicazione non riguarderà l'attuale legislatura, ma la prossima.
La cui maggioranza parlamentare verrà decisa dagli elettori e che potrà, naturalmente, essere del tutto diversa da quella attuale.
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