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AINIS (Fronte del NO): "LA RIFORMA RAFFORZA LE REGIONI SPECIALI."





AINIS (Fronte del NO): "LA RIFORMA RAFFORZA LE REGIONI SPECIALI."
Il costituzionalista Ainis smentisce le cassandre del "No" del Friuli Venezia Giulia.

24 ottobre 2016

Michele Ainis è giurista e costituzionalista. Sostiene convintamente il "NO" alla Riforma Costituzionale.

Tra i suoi motivi di contrarietà, il fatto che "gli statuti speciali sono più garantiti della Costituzione medesima" e "l’autonomia delle Regioni speciali non verrà mai più ridimensionata".

È evidente che, ciò che per Ainis sarebbe un difetto della Riforma, per noi di Trieste e del Friuli Venezia Giulia costituisce invece un vantaggio e un beneficio.

Quindi, un ulteriore motivo per votare "SÌ"!

Ditelo anche ai nostri politici contrari alla Riforma, quelli che paventano, al contrario del loro compagno Ainis, la distruzione della nostra autonomia regionale.

Dite loro che un costituzionalista, schierato come loro per il "No", li smentisce senza appello. Come potete leggere qui di seguito.

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Cinque superstati, le regioni speciali
di Michele Ainis – Repubblica, 23.10.2016

C’è una norma, nascosta fra le disposizioni transitorie della riforma Boschi, che è più potente d’un cannone. Perché inventa la suprema fonte del diritto, superiore alla Costituzione stessa.Perchè le norme transitorie transitano, mentre questa si proietta sull’eternità. E perché infine, grazie ai suoi incantesimi, la riforma dello Stato genera cinque superStati: le Regioni speciali.

Per raccontare questa storia, dobbiamo partire per un triplo viaggio nel tempo.Il primo fino al dopoguerra, quando per un complesso di motivazioni politiche, etniche, geografiche, viene concessa una particolare autonomia a Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino (il Friuli Venezia Giulia s’aggiunse nel 1963).

Il secondo viaggio approda nel 2001, l’anno della riforma federalista varata sotto il governo Amato: una sbornia di competenze per le quindici Regioni ordinarie, che a quel punto surclassano le cinque sorelle maggiori, le fanno retrocedere in autorità e poteri. Tanto che, per evitare il paradosso di Regioni speciali che in realtà diventano subnormali, la legge costituzionale n. 3 del 2001 introduce la «clausola di maggior favore», stabilendo che il nuovo Titolo V della Costituzione s’applichi anche a loro, nelle parti in cui sia più vantaggioso rispetto agli statuti speciali.

Il terzo viaggio a ritroso è altresì il più breve. Un anno fa, ottobre 2015: l’oscillazione del pendolo, che di volta in volta converte gli italiani da giustizialisti a garantisti, da proporzionalisti a maggioritari, da federalisti a centralisti, stavolta gira contro gli enti regionali. E infatti in Senato si sta perfezionando la riforma che taglierà le unghie alle Regioni. Mica a tutte, però: le autonomie speciali rimangono fuori dalla giostra. Perché mai? Semplice: perché dispongono d’un fuoco di sbarramento che può fucilare la riforma. Diciannove fucili, quanti sono attualmente i senatori (per lo più eletti in Val d’Aosta e Sud Tirolo) del Gruppo per le autonomie.

Siccome però le garanzie non sono mai abbastanza, siccome oggi va bene ma «di doman non v’è certezza », gli autonomisti pretendono (e ottengono) la fideiussione perpetua. E il 9 ottobre 2015 il Senato approva l’emendamento 39.700, primo firmatario Karl Zeller, ovvero il presidente del Gruppo per le autonomie.

Da qui il comma 13 dell’articolo 39, da qui la regola che vieta per tutti i secoli a venire di sforbiciare le competenze delle Regioni speciali, a meno che non siano loro stesse a decretarlo.

Cambia infatti il procedimento di formazione degli statuti, dove per l’appunto s’elencano tali competenze: nel caso delle cinque Regioni ad autonomia differenziata, servirà una legge costituzionale adottata dallo Stato «sulla base di intese con le medesime Regioni».

Diciamolo: è la novità più innovativa della nuova novella. Non tanto per l’uso dello strumento pattizio, quanto per il suo grado d’efficacia, per il condizionamento che poi ne deriva.
Difatti la Costituzione in vigore ne contempla già un paio d’applicazioni: nell’articolo 8 (intese fra lo Stato e i culti acattolici) e nell’articolo 116 (intese fra Stato e Regioni). In entrambe le ipotesi, però, le intese precedono una legge ordinaria, non una legge costituzionale. Dunque lo Stato può sempre disattenderle, può insomma decidere da solo, purché intervenga con legge di revisione costituzionale, modificando l’articolo 8 o l’articolo 116.

Ma in questo caso no, non è possibile. Il comma 13 detta una regola procedurale, né più né meno dell’articolo 138 della Costituzione, di cui è figlia la riforma Boschi.
Se domani si correggesse lo statuto del Trentino senza rispettare il comma 13, sarebbe come approvare una riforma Boschi bis senza rispettare l’articolo 138. Vabbè, è dura da capire. Ma è ancora più dura da spiegare, ed è durissima da concepire. Anche perché la concezione del concetto è una e trina, come Dio.

Primo: aumenta la forbice tra Regioni ordinarie e speciali, benché in partenza l’idea fosse quella di parificarle.

Secondo: gli statuti speciali sono più garantiti della Costituzione medesima, giacché nel loro caso occorre un passaggio in più (l’intesa), con un procedimento ultrarafforzato.

Terzo: l’autonomia delle Regioni speciali non verrà mai più ridimensionata, a meno che esse stesse decidano di fare harakiri.

Risultato: ci sbarazziamo del Senato, per liberarci dai suoi poteri di veto. E lo sostituiamo con cinque veto players, le Regioni- Stato. Evviva.
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