Nasce in questo fine settimana di marzo il Popolo della Libertà. Si tratta in realtà dell'ufficializzazione di un Partito già fondato da milioni di elettori con le consultazioni dell'aprile 2008, quando un consenso larghissimo premiò il progetto di Silvio Berlusconi di costruire un grande Partito degli Italiani, moderno e capace di un'azione di governo forte e pragmatica.
A Trieste il Popolo della Libertà è nato ancor prima. Con la vittoria di Roberto Dipiazza e del Centrodestra alle elezioni comunali del 2001. Iniziò da lì un percorso che vide saldarsi sempre più tenacemente le posizioni di Forza Italia e di Alleanza Nazionale su obiettivi, progetti e azioni condivise, caratterizzate dalla positiva tensione del "fare" che si contrapponeva virtuosamente a precedenti decenni di passivo immobilismo. Dopo otto anni di amministrazione, con risultati che credo siano sotto gli occhi di tutti, metteremo nella scatola dei ricordi due etichette e ne useremo una sola. Rimarrà invariata e semmai rafforzata la base comune che unisce il Centrodestra, quella fatta di valori assoluti ed immutabili: l'individuo e la famiglia al centro dell'azione politica, la sussidiarietà e la solidarietà, la libera impresa e la meritocrazia, il lavoro, l'amore per la propria terra e l'orgoglio nazionale, la difesa dei diritti ed il rispetto dei doveri.
Aggiungo una piccola/grande soddisfazione personale. Quella di vedere oggi compiuta l'opera di costruzione non solo di un grande Partito, ma soprattutto della casa di quella Destra Ideale che discende dal pensiero liberaldemocratico e liberalconservatore di Cavour, Einaudi, Giolitti e De Gasperi. Che abbraccia Giuseppe Prezzolini e Giovannino Guareschi. E che, in tempi più recenti, ha avuto come modelli di governo quelli di Ronald Reagan e Margareth Thatcher.
La Destra ricercata fin dal 1987 dal movimento "Controcorrente Giovani", con il quale allora, poco più che ventenne, simpatizzavo quasi stupendomi del fatto che non riuscisse a dilagare impetuoso nella società italiana ingessata nei giochi delle correnti di partito e dei veti incrociati.
La Destra che ripugnava il pensiero debole, contrapposta alla massificazione di matrice comunista ed al contempo distante dall'estremismo fascista.
Quella Destra agognata dal giornalista che più ho ammirato, Indro Montanelli, sul cui successo, però, si dimostrava scettico. "Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel manganello" soleva sostenere e, soprattutto, "...l'altra destra, quella che non vince mai, e che appunto per questo rimane regolarmente l'altra. Ma sempre più persuaso che, senza questo altro liberalismo, l'Italia non sarà mai né una democrazia né una nazione".
Per fortuna Montanelli fu tanto ottimo giornalista e pensatore quanto mediocre profeta. Oggi, senza finire nel manganello, l'altra, la sua, la mia, la nostra Destra ha vinto. E l'Italia, con il Popolo della Libertà, è ora più democrazia compiuta e più Nazione.
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