IL "NUOVO" PORTO VECCHIO DI TRIESTE: TRA RISCHI E OPPORTUNITÀ.
21 dicembre 2014
L'emendamento sul Porto Vecchio di Trieste, infilato nella Legge di Stabilità dal senatore triestino del PD Francesco Russo, coglie di sorpresa e divide l'opinione pubblica triestina.
L'emendamento sul Porto Vecchio di Trieste, infilato nella Legge di Stabilità dal senatore triestino del PD Francesco Russo, coglie di sorpresa e divide l'opinione pubblica triestina.
Da una parte, viene salutato - poco sobriamente - come "svolta epocale" in grado di proiettare il capoluogo giuliano verso uno splendido e ricco avvenire.
Dall'altra lo si addita come il colpo di grazia al nostro già asfittico tessuto economico e come manovra tesa a svendere beni pubblici a vantaggio di avidi speculatori. Che sarebbero, inevitabilmente e secondo l'ovvio luogo comune, gli amici degli amici.
Sono entrambe posizioni esagerate. Decenni di soluzioni annunciate e poi miseramente naufragate inducono a cautela e realismo. Così come non si può agitare lo spettro di oscure e banditesche manovre immobiliari non appena qualcosa si muove.
«In conseguenza dei sopracitati provvedimenti, le aree, le costruzioni e le altre opere appartenenti al Demanio marittimo compresi nel confine della circoscrizione portuale, escluse le banchine, l'Adriaterminal e la fascia costiera del Porto Vecchio, sono sdemanializzate e assegnate al patrimonio disponibile del Comune di Trieste per essere destinate alle finalità previste dagli strumenti urbanistici.
Il Comune di Trieste aliena, nel rispetto della legislazione nazionale ed europea in materia, le aree e gli immobili sdemanializzati e i relativi introiti sono trasferiti all'Autorità portuale per gli interventi di infrastrutturazione del Porto Nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di Punto Franco.
Sono fatti salvi i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti di concessione di durata superiore a quattro anni in vigore, che sono convertiti, per la porzione di aree relative, in diritto di uso in favore del concessionario per la durata residua della concessione. Il presidente dell'Autorità portuale, d'intesa con il presidente della Regione e con il sindaco delimita le aree che restano vincolate al Demanio marittimo.
Sono entrambe posizioni esagerate. Decenni di soluzioni annunciate e poi miseramente naufragate inducono a cautela e realismo. Così come non si può agitare lo spettro di oscure e banditesche manovre immobiliari non appena qualcosa si muove.
Per ora, in prima battuta, propongo alcuni punti - non esaustivi - di analisi e riflessione. Utili, forse, per formarsi un'opinione sulla vicenda e apertissimi ai contributi dei lettori.
Cosa significa l'emendamento.
La parte di Porto Vecchio non utilizzata più a fini portuali, passa dal Demanio marittimo al Demanio comunale. Quindi, al momento, rimane un bene pubblico. Che però è "disponibile". Significa che il Comune può - anzi, per come sta scritto, deve - vendere gli spazi e gli immobili ivi insistenti.
L'elemento di (assoluta) novità è questo. Finora, infatti, un privato poteva prendere in concessione un magazzino, anche per molti decenni. Ma non poteva diventarne proprietario.
I proventi delle operazioni di vendita non entrano nelle casse comunali, ma in quelle dell'Autorità Portuale. Finalizzati a infrastrutturare il Porto commerciale. Questo accade in parte anche ora, con i canoni concessori incassati dall'AP nell'intera circoscrizione portuale.
Ancora, si può spostare il regime di Punto Franco in altre zone della Provincia, dove lo strumento giuridico può risultare utile. Questa possibilità non è una primizia: lo si è già fatto altre volte in passato, per aree meno "sensibili", senza che nessuno nemmeno se ne accorgesse.
Infine, l'emendamento specifica alcuni dettagli logici: dove, nel vecchio scalo, si fa attività portuale, rimane la competenza dell'AP (banchine, fasce a mare, Adria Terminal). Dove la proprietà passa al Comune, è quest'ultimo che pianifica. Ovvero, che decide quali insediamenti ammettere.
Possibili elementi di positività.
C'è un mantra che viene ripetuto da anni. Dice che il Porto Vecchio è in queste condizioni perché nessun privato è disposto investire i propri denari su beni che non sono suoi. Dice che le concessioni, ancorché lunghe, non bastano, gli investitori internazionali non si fidano, e così via. E che quindi, potendo vendere, le richieste pioverebbero.
Finora non abbiamo avuto la prova se fosse davvero così. Ora potremo verificarlo.
Ci sono i proventi delle vendite alle infrastrutture portuali. Non so quanto valga oggi sul mercato il Porto Vecchio. Dipenderà ovviamente anche dalle destinazioni urbanistiche ammesse. Però immagino siamo nell'ordine di qualche centinaio di milioni. Lo si vendesse tutto, avremmo risorse per costruire, concorsualmente con i terminalisti privati, il secondo lotto della Piattaforma logistica, il Molo Ottavo, l'interramento tra il Quinto e il Sesto, infrastrutture ferroviarie, attrezzature di banchina, collegamenti stradali ecc. Opere previste dal Piano Regolatore Portuale lungo i decenni che potrebbero realizzarsi invece in pochi anni. Per il nostro Porto sarebbe un balzo di qualità e capacità - questo si - epocale.
I tributi locali sugli immobili prima entro la circoscrizione portuale e ora ricadenti nell'ambito comunale, laddove impiegati per attività economiche private, potrebbero determinare un maggior gettito per la casse comunali. Che determinerebbero un miglioramento dei servizi resi ai Triestini oppure una diminuzione delle tasse locali. O entrambe le cose.
Ancora, il fatto che le decisioni su cosa fare all'interno del Porto Vecchio/Demanio comunale vengano assunte dal massimo e più rappresentativo organo democratico della città - il Consiglio comunale - lo giudico un fatto positivo. Non che prima la città fosse stata lasciata fuori dalle scelte. Ma, correttamente, il pallino era in mano all'Autorità Portuale, in quanto affidataria di aree che, ancorché non più utilizzate per finalità portuali, rimanevano sotto la sua gestione diretta.
Criticità e rischi.
La possibilità per i privati di acquistare è anche quella che presenta maggiore incertezza. Vi saranno richieste in tal senso? La domanda non è retorica e non è legata solo all'andamento dell'economia e dei mercati in quest'epoca recessiva.
I bellissimi e degradati magazzini del Porto Vecchio sono infatti sottoposti a vincoli monumentali, architettonici e paesaggistici. Rigidissimi. Non ci puoi far nulla o quasi se non restaurarli così come sono. Gli interventi necessari sono costosissimi e gli iter autorizzativi biblici. L'azienda X, qualsiasi attività svolga, avrebbe convenienza ad affrontare un lungo e costoso percorso di restauro, rispetto a costruirsi liberamente un bell'edificio nuovo di zecca da un'altra parte?
Altro particolare. I magazzini sono, appunto, magazzini. Con ampie superfici coperte buie e senza finestre. Allo stato, immodificabili. Quindi chi acquisterebbe 40mila metri quadrati su più piani per poterne usare appena 10-12mila, solo quelli perimetrali interni finestrati? Il resto, le superfici più interne, sarebbero inutilizzabili. Se non, appunto, per magazzini al terzo piano con piccole porte di accesso. Che, ritengo, non interessino a nessuno. È evidente che serve una revisione dei vincoli, che preservi l'esterno degli edifici ma ne consenta l'adattabilità interna alle normali esigenze insediative.
È in corso l'iter di approvazione di due Piani regolatori: quello comunale e quello portuale. Entrambi redatti secondo lo stato attuale delle aree. Cosa succederà loro, ora che le competenze sulle aree sono radicalmente modificate? Se rischiamo un blocco dei due strumenti, c'è da preoccuparsi.
Il Piano Regolatore del Porto - in cui è incluso Porto Vecchio ma comprende tutto lo scalo giuliano - attende la luce dal 1957 (!). Dopo grandi fatiche, quello nuovo è stato approvato in sede locale nel 2009 e ancora, ad oggi, non è stato definitivamente assentito dai competenti Ministeri. Se la modifica dello stato di fatto del Porto Vecchio dovesse richiedere l'azzeramento e la ripartenza da zero dei percorsi amministrativi, ci troveremmo con gli investimenti del Porto e della città bloccati per un tempo indefinito. Si auspica, ovviamente, che così non accada ma su questo punto vanno pretese immediate rassicurazioni.
Ancora. Affidando una concessione a fronte di un piano di investimento, l'Ente pubblico si assicurava che il privato realizzasse davvero quanto promesso in termini di tempistiche, attività e occupazione. Pena la revoca della concessione. La vendita deve venire subordinata a un meccanismo simile. Altrimenti c'è il concreto rischio che il tutto si risolva non in un beneficio per la città, ma semplicemente in qualche investimento immobiliare, senza che si pianti mai un chiodo. E con l'impossibilità di costringere il privato a farlo.
La sfida.
È quella che ora deve affrontare Trieste. Si tratta di pianificare un'area enorme, pregiata, unica. Offrendo opportunità ai privati ma preservando l'interesse pubblico della collettività. Disegnando connessioni, infrastrutture, collegamenti. E, soprattutto, funzioni.
Quelle attualmente vigenti, individuate secondo il principio della "portualità allargata" con il consenso unanime di tutte le forze politiche locali, possono venire mantenute oppure modificate.
Le decisioni che si prenderanno determineranno in buona parte - non totalmente per le possibili criticità descritte prima - il successo dell'operazione Porto Vecchio.
E il successo si potrà definire tale se avrà soddisfatto una unica, fondamentale condizione: l'avvenuto insediamento in Porto Vecchio di attività economiche con nuovi posti di lavoro, veri e stabili per Trieste.
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Testo dell'emendamento Russo.
Il Commissario di Governo previa intesa con il presidente della Regione e con il sindaco di Trieste, adotta, d'intesa con le istituzioni competenti, i provvedimenti necessari per spostare il regime giuridico internazionale di Punto Franco dal Porto Vecchio ad altre zone opportunamente individuate, funzionalmente e logisticamente legate alle attività portuali».
Il Commissario di Governo previa intesa con il presidente della Regione e con il sindaco di Trieste, adotta, d'intesa con le istituzioni competenti, i provvedimenti necessari per spostare il regime giuridico internazionale di Punto Franco dal Porto Vecchio ad altre zone opportunamente individuate, funzionalmente e logisticamente legate alle attività portuali».
«In conseguenza dei sopracitati provvedimenti, le aree, le costruzioni e le altre opere appartenenti al Demanio marittimo compresi nel confine della circoscrizione portuale, escluse le banchine, l'Adriaterminal e la fascia costiera del Porto Vecchio, sono sdemanializzate e assegnate al patrimonio disponibile del Comune di Trieste per essere destinate alle finalità previste dagli strumenti urbanistici.
Il Comune di Trieste aliena, nel rispetto della legislazione nazionale ed europea in materia, le aree e gli immobili sdemanializzati e i relativi introiti sono trasferiti all'Autorità portuale per gli interventi di infrastrutturazione del Porto Nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di Punto Franco.
Sono fatti salvi i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti di concessione di durata superiore a quattro anni in vigore, che sono convertiti, per la porzione di aree relative, in diritto di uso in favore del concessionario per la durata residua della concessione. Il presidente dell'Autorità portuale, d'intesa con il presidente della Regione e con il sindaco delimita le aree che restano vincolate al Demanio marittimo.
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