1 maggio 2015
UNA SINISTRA RADICALE MIOPE CONTINUA A FARE PROPRIA LA FESTA CHE DOVREBBE ESSERE PRIVA DI IDEOLOGIA E PATRIMONIO DI TUTTI I LAVORATORI.
A Trieste sfilano in corteo anche i simboli degli infoibatori di Tito, il dittatore che i lavoratori non allineati li spediva nei gulag.
ll Primo Maggio si celebra la Festa del Lavoro. E dei lavoratori. Una ricorrenza che risale al 1882 e che nasce per ricordare le conquiste, in termini di diritti, di cittadini all'epoca considerati di serie B: quelli che si spaccavano la schiena nei campi coltivati, quelli che si ammalavano e morivano durante i turni massacranti nelle fabbriche.
Diciamo la verità: è naturale, agli albori del Novecento, che a intestarsi la Festa dei Lavoratori fossero coloro che per le classi sociali più deboli combattevano e rischiavano. Socialisti, anarchici, comunisti ante-litteram.
È meno naturale che, più di cent'anni dopo, a marchiare e a costruire recinti attorno al Primo Maggio continui a essere ancora una sola, minoritaria parte politica. Quella della falce e martello esibiti e sventolati, quella "antagonista" a prescindere, quella che erge a modello regimi e gulag spazzati via dalla Storia.
Perché, nel 2015, chi lavora in fabbrica o in ufficio, chi apre ogni mattina la propria bottega artigiana o il proprio negozio, chi insegna in una scuola o assiste pazienti in ospedale, chi si ritrova una pensione misera dopo una vita di lavoro, non è riconducibile sotto nessuna falce e sotto nessun martello. Sono tutti Lavoratori e la Festa è di tutti loro. Per qualsiasi parte politica simpatizzino. E la maggioranza di loro non si riconosce nei tristi simboli che, ancor oggi e con la benevolenza di Organizzazioni sindacali sempre più autoreferenziali, timbrano con arroganza una celebrazione che dovrebbe essere universale.
La sinistra radicale è colpevole di scippo: quello perpetrato nei confronti dei milioni di lavoratori che nei suoi simboli non si riconoscono. Quei milioni di lavoratori liberi cui la partecipazione pubblica alla loro legittima Festa viene, di fatto, negata.
A Trieste, succede di peggio. Per un beffardo destino, il Primo Maggio è anche la data in cui, nel 1945, le truppe yugoslave titine prendono possesso della città. Esattamente settant'anni fa, in questo lembo d'Italia, iniziò una stagione di persecuzioni, violenze inaudite, infoibamenti per mano della soldataglia di Tito, ai danni di civili inermi.
Oggi, Primo Maggio 2015, nel solito corteo con comizio finale della Festa del Lavoro, sfilavano lungo le vie di Trieste tristi figuri con il capo coperto dalla bustina con la stella rossa. Con le bandiere della disciolta Yugoslavia. Accanto a quelle rosse, con la falce e il martello. Le insegne degli infoibatori. Fino in piazza Unità d'Italia.
Gli apologeti dei crimini sanguinari, oggi sono stati accettati e accolti da coloro che dicono di rappresentare tutti i lavoratori.
Non vogliamo usare termini roboanti, che pure sarebbero giustificati: violenza, offesa, vilipendio a una città, alla sua memoria, ai suoi abitanti. Andrebbe definito così, questo Primo Maggio 2015 a Trieste. Ma non intendiamo dare troppa importanza a chi non la merita.
Preferiamo evidenziare, ancora una volta, la chiusura settaria, imposta da una parte politica, alla Festa del Lavoro. Vogliamo sottolineare, ancora una volta, la colpa di escludere e la miopia nel continuare a targare il Primo maggio con simboli divisivi.
Vogliamo denunciare lo scippo ai danni dei Lavoratori liberi da condizionamenti ideologici.
E, oggi, l'ulteriore scippo anche ai danni di quelli politicamente schierati a sinistra.
Ci auguriamo abbiano provato almeno disagio, mentre sfilavano preceduti dai simboli di coloro che "festeggiavano" i lavoratori, non sottomessi alla dittatura titina, facendoli precipitare nelle Foibe.
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