È dal 1971 che sulla riqualificazione del Porto Vecchio di Trieste si formulano ipotesi e si presentano progetti. Tutti senza esito alcuno. Le contrapposizioni, come è noto, permangono anche oggi e danno la netta impressione che 40 anni non abbiano prodotto nulla: gli argomenti sono sempre gli stessi, le posizioni tra le varie anime appaiono inconciliabili.
Anche per questo appaiono ridicole le accuse di "immobilismo" da e a qualunque parte politica vengano rivolte: in quasi mezzo secolo di sterilità, le responsabilità spaziano oltre qualsiasi simbolo e oltre qualsiasi classe dirigente.
Nel post precedente a questo abbiamo visto come il "corpo sociale" triestino aveva, a metà 1800, le idee più chiare di quanto accada oggi su ciò che voleva per la propria città e per il proprio porto. E, soprattutto, aveva idee che con il passare dei decenni si sono rivelate vincenti.
Forse la soluzione sta qui: nel recupero di quello "spirito di squadra" per Trieste, che faccia accantonare reciproci sospetti, che prenda atto di situazioni oggettive, che faccia assumere scelte e affrontare sfide. Un dovere che non investe solo la politica, ma la città intera.
------------------------------------------------------------------------------------------
LEGGI LE PUNTATE PRECEDENTI:
"IL NUOVO PORTO VECCHIO DI TRIESTE: TRA RISCHI E OPPORTUNITÀ"
"TRIESTE: PORTO FRANCO E NUOVO, NON SOLO VECCHIO"
"PORTO DI TRIESTE: COM'ERA E COME LO SI IMMAGINAVA NEL 1957"
"TRIESTE: ECCO COSA SI FARÀ IN PORTO VECCHIO"
"TRIESTE: PORTO FRANCO E NUOVO, NON SOLO VECCHIO"
"PORTO DI TRIESTE: COM'ERA E COME LO SI IMMAGINAVA NEL 1957"
"TRIESTE: ECCO COSA SI FARÀ IN PORTO VECCHIO"
------------------------------------------------------------------------------------------
Analisi dei progetti per il riuso del PV redatti dal 1971 al 2001.
redatta da
dott. ing. Ondina Barduzzi
15 giugno 2005
Il declino di molte aree portuali è stato indotto dall’inadeguatezza delle strutture dei porti tradizionali ad accogliere nuove tipologie di navi e nuove forme di commercio. In particolare, l’abbandono è stato determinato dalla loro difficoltà ad adeguarsi a quei cambiamenti tecnologici che hanno consentito la diffusione della containerizzazione e dei nuovi sistemi di movimentazione delle merci.
Anche il porto di Trieste si è trovato ad affrontare questi intensi cambiamenti tecnologici nella navigazione e nei metodi di movimentazione del carico sviluppato, evidenziando uno squilibrio tra domanda ed offerta di attrezzature per la movimentazione.
Con la realizzazione del molo VII, avvenuta nel 1973, iniziò il progressivo trasferimento di molte attività dal “Porto Vecchio” al “Porto Nuovo”, in quanto la nuova area era infrastrutturalmente ben attrezzata per accogliere i nuovi traffici ed i container. Ma, con il progressivo abbandono del Porto Vecchio, iniziò anche un vivace dibattito sul suo riuso. Dibattito durato quasi trenta anni ed, ancora oggi, di grande attualità.
Nel 1971, l’architetto giapponese Kenzo Tange, presentò “le linee guida per lo sviluppo dell’area di Trieste”. Un ipotesi che, già allora, considerava la costa come un organismo unitario. In seguito, nel 1974, l’arch. Guido Canella propose un progetto specifico per il porto vecchio che, pur conservando parzialmente le attività portuali, prevedeva anche nuove destinazioni d’uso. Un parco urbano, attività direzionali, strutture sportive, attività fieristiche, residenze e strutture universitarie, un parcheggio di interscambio.
Negli anni intercorsi tra il 1988 ed il 1991 per quest’area si svilupparono, quasi contemporaneamente, due nuove ipotesi: il progetto “Polis” ed il progetto “Bonifica”.
Il primo, redatto dall’architetto Nicolò Savarese su incarico dell’allora Ente Porto, prevedeva una radicale trasformazione urbanistica della parte iniziale del Porto Vecchio. Concentrava l’edificabilità in alcuni edifici e liberava spazi destinandoli ad uso pubblico. Prevedeva un parco urbano, ovvero un’isola di verde che si estendeva dalla stazione al mare.
Il disegno di massima consisteva nello sviluppo in tre distinti poli: il centro direzionale, i servizi di Punto Franco e l’Adria Terminal. Esso si articolava in due fasi. Una prima fase prevedeva la realizzazione di un quartiere direzionale, una parte del parco urbano ed una piazza d’acqua. Una seconda fase, invece, ipotizzava il completamento del parco urbano, la costruzione di un centro finanziario, un centro espositivo, un centro per la formazione, la ricerca e la documentazione ed un’area di stoccaggio merci protetta.
Il secondo progetto, che si sviluppò nello stesso periodo, fu invece affidato dalla Regione Friuli Venezia Giulia alla società Bonifica. Si trattava di redigere uno studio di fattibilità per il rilancio economico dell’area giuliana. Fu redatto dall’architetto Luciano Semerani. Esso ipotizzava il riassetto del fronte mare attraverso due scenari.
Il primo, prevedeva la sdemanializzazione completa del Porto Vecchio e la realizzazione della nautica da diporto (due darsene per settecento posti barca). Il secondo, immaginava l’utilizzazione parziale del Porto Vecchio per attività economico terziarie.
Il progetto localizzava l’Adria Terminal e l’area direzionale individuata da Polis, ridisegnava la piazza Libertà con la riconversione ad usi urbani delle aree meridionali del Porto Vecchio, tracciava una viabilità sotterranea di collegamento tra lo stesso ed il Porto Nuovo, e sceglieva la trasformazione dell’area di Campo Marzio in polo museale e culturale.
Un rendering del progetto Expo 2008 in Porto Vecchio. |
L’anno seguente la proposta di Bonifica per la realizzazione di un tunnel sotto le rive, da realizzarsi con uno scavo a cielo aperto, incontrò enormi difficoltà nel risolvere, progettualmente, il sottopasso del torrente Chiave. Fu l’ingegner Ferruccio Carbi a proporre, in alternativa, un tunnel sottomarino di collegamento del Porto Nuovo con il Porto Vecchio.
Nel 1997, da tutte le associazioni di categoria delle imprese cittadine e da molti cittadini, nacque la società “Trieste futura”, che aveva come obiettivo primario l’estensione delle aree nel Porto Nuovo e la riqualificazione delle aree nel Porto Vecchio.
Due anni dopo, fatta una verifica sulla fattibilità anche economica delle ipotesi prospettate, la società incaricò l’architetto Manuel de Solà Morales di redigere il piano di recupero del Porto Vecchio, con l’obiettivo di individuare, per quelle aree, nuove destinazioni d’uso d’interesse cittadino. Egli propose un albergo, ristoranti, residenze e apart-hotel, gallerie commerciali, un centro convegni, uffici e world trade center.
Per il molo IV ipotizzò negozi, bar-caffè, ristoranti, spazi per la ricreazione, e terminali per l’arrivo occasionale di navi passeggeri. Tra i moli II° e III°, invece, localizzò un museo- acquario, un club nautico, dei ristoranti, una discoteca, un i-max cinema, una multisala, ed altro ancora.
Nel 2000, l’Autorità Portuale di Trieste, titolare delle aree, dopo quasi trent’anni di dibattito affidò all’architetto Stefano Boeri, la variante al piano regolatore del porto per l’area del Porto Vecchio. Il piano si articolava in tre capitoli. La definizione di uno scenario di attività e funzioni specifiche per il futuro dell’ambito, i criteri per la loro ammissibilità e la proposta di una loro prima localizzazione. Il riconoscimento delle regole evolutive del tessuto di quest’area portuale e la conseguente proposta di una serie di interventi di riuso, sostituzione, sottrazione di spazi costruiti ed aperti, che avrebbero permesso di riattivare il suo territorio. Alcune esplorazioni progettuali che anticipavano e verificavano l’attivazione dei suddetti criteri di ammissibilità e le regole evolutive.
L’analisi critica di tutti i progetti redatti dal 1971 al 2001 per l’ambito del Porto Vecchio ha consentito di individuare elementi utili al processo di pianificazione della presente Variante al PRP per l’ambito del PV (2005, ndr).
NDR: All'elenco vanno aggiunti il progetto Expo 2008 e quello di Portocittà del 2010. Anch'essi abortiti.
Nessun commento:
Posta un commento
Il blog di Paolo Rovis.
Notizie, opinioni, politica.
A Trieste e nel Friuli Venezia Giulia.