L'articolo di Laura Tonero su "Il Piccolo" di oggi. |
Si difende così Milos Budin, presidente di nomina politica del Politeama Rossetti di Trieste e già membro della Direzione regionale FVG del Partito Comunista Italiano, dall'accusa di aver imposto modifiche a testo e sceneggiatura dello spettacolo "Magazzino 18" di Simone Cristicchi. Una rappresentazione teatrale sull'esodo di migliaia di Istriani, Fiumani e Dalmati dalle terre italiane cadute nelle mani di Tito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La prima nazionale di "Magazzino 18" andrà in scena a Trieste, il prossimo 22 ottobre. Ma, probabilmente, sarà diversa da come l'aveva pensata l'autore. Il presidente del teatro - seguendo, pare, l'invito di qualche "suggeritore" - intende far inserire nella narrazione di Cristicchi la lettura di un brano di Boris Pahor - ultracentenario scrittore sloveno - e un riferimento, in lingua slovena, all'incendio dell'Hotel Balkan, sede di un centro culturale iugoslavo. Avvenuto nel luglio del 1920, prima dell'avvento del fascismo.
Questi i fatti, come riportati oggi dai quotidiani "Il Piccolo" e "Libero".
Questi i fatti, come riportati oggi dai quotidiani "Il Piccolo" e "Libero".
Non mi permetto di entrare nel merito delle modifiche "imposte" anche se, a mio avviso, sono del tutto fuori contesto rispetto all'opera "Magazzino 18". Sarà la sensibilità di chi il dramma dell'Esodo l'ha vissuto e scontato sulla propria pelle e dei suoi discendenti a formare un giudizio sulla vicenda.
E non ne faccio nemmeno una questione etnica, linguistica, culturale, storica. Barriere, per quanto mi riguarda, superate da un pezzo. E che speravo archiviate quando, da assessore della giunta di centrodestra alla guida di Trieste, sostenni l'allora sindaco Dipiazza (PdL) nell'organizzare qui a Trieste il "Concerto dell'Amicizia" di Riccardo Muti (luglio 2010) alla contemporanea e inedita presenza dei presidenti della Repubblica d'Italia, Slovenia e Croazia.
Da liberale, da difensore assoluto di ogni libertà, mi inorridisce invece il fatto, grottesco, che nel 2013 esista ancora un "padrone" di teatro (pubblico, peraltro) che ritenga normale intervenire sulle opere che vanno in scena, modificandole a suo piacimento.
Una forma di censura subdola, anche peggiore di quella classicamente conosciuta che consiste nella messa al bando tout-court delle rappresentazioni teatrali e letterarie scomode al "regime".
Un metodo che, scopriamo con sconcerto, viene ancor oggi praticato con imbarazzante naturalezza da un esponente del Partito Democratico. Assurto, ahinoi, alla presidenza di uno dei maggiori teatri di prosa d'Italia. E per il quale, evidentemente, il Muro di Berlino e i regimi totalitari dell'Est europeo non sono mai caduti.
Un'ortodossia fuori dal tempo e dalla storia, che ricalca i metodi sovietici descritti dal prof. Herman Ermolaev nel suo saggio "Censorship in Soviet Literature, 1917 – 1991".
“Nell'Unione Sovietica, le autorità del PCUS e del Sovnarkom (il Consiglio dei Commissari del Popolo) non restringevano la censura dell'opera culturale alla mera eliminazione del materiale proibito; scrivevano inserzioni che riflettevano la posizione politico-ideologica del leader di Partito al potere, o invitavano il singolo autore a farlo".
Trieste 2013 come Mosca 1950. Che tristezza.
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